Il 2015 si chiude in ripresa sia il mercato immobiliare che per quello dei mutui: i contratti di compravendita stipulati nel corso dell’anno ammontano a circa 445.000, ovvero il 6% in più rispetto all’anno passato, mentre i mutui erogati – secondo i dati ABI nel corso dei primi 10 mesi del 2015 – sono stati il 94% rispetto l’anno precedente. Questi dati ci forniscono due informazioni: che le famiglie tendono ancora a indebitarsi, quindi hanno una certa fiducia nel futuro, e che il mercato dei mutui vive principalmente di surroghe.
Del resto il periodo è particolarmente positivo per chi vuole indebitarsi: secondo gli ultimi dati diffusi a novembre i tassi medi applicati sui mutui sono stati del 2,57%, ai minimi dal 2010. Se vogliamo scendere nel dettaglio del dato, notiamo come un mutuo a tasso variabile mediamente costi un 1,6% mentre il costo medio di un mutuo a tasso fisso si aggiri circa sul 3% per mutui che finanziano l’80% del valore dell’immobile, scendendo al 2,2% nel caso la percentuale finanziata sia inferiore al 50% del valore dell’immobile.
Ciò che balza subito all’occhio è che la differenza tra un mutuo a tasso fisso e uno a tasso variabile – particolarmente per basse percentuali di finanziamento – diventa molto sottile, appena 0,6 punti percentuali, quasi nulla. Come è possibile succeda questo? Va detto che in questo momento le banche stanno facendo pagare di più un tasso variabile che uno fisso. Questo sembra illogico, visto che con un tasso fisso la banca assume maggiori rischi che non con un tasso variabile, ma è quanto accade e che emerge analizzando i dati CRIF. Va considerato che in questo momento l’Euribor è negativo (ciò avviene da febbraio 2015), sia per il caso del parametro di riferimento a 1 mese che per quello a 3 mesi, e la previsione è che continui a scendere, visto che il passato 3 dicembre 2015 la BCE ha ribassato ulteriormente il tasso sui depositi della banche, al -0.3%. Le banche, in parole povere, pagano alla Banca Centrale Europea per il denaro depositato nel conto BCE e si coprono di questo costo aumentando lo spread richiesto sui mutui a tasso variabile. Non solo, secondo le dichiarazioni della BCE, è possibile in futuro ci siano ulteriori modifiche al ribasso del tasso sui depositi interbancari, la cui entità non è al momento prevedibile e il cui avverarsi dipenderà dalla ripresa o meno dell’inflazione.
Di fronte a questa situazione di imprevedibilità le banche, tutto sommato, preferiscono vendere un mutuo a tasso fisso che nonostante sia più rischioso in questo momento offre più garanzie di stabilità per loro. Infatti, mentre per un mutuo a tasso fisso le banche possono sempre proteggersi con degli swap, così non è con le incertezze legate all’andamento dell’inflazione e del tasso sui depositi interbancari, che determina l’Euribor. Per questo motivo le banche, riducendo la differenza tra tasso fisso e tasso variabile, stanno influenzando la domanda, sposandola sul tasso fisso.
A questo punto, la fatidica domanda per il consumatore è: le banche spingono sul fisso ma è davvero la soluzione migliore? Ebbene, consideriamo che i future sull’Euribor oggi ci dicono che il mercato si attende che l’Euribor possa tornare a superare l’1% solamente dopo il 2020. Quindi per i prossimi 5 anni è possibile si manterrà negativo o comunque prossimo allo zero. Ecco dunque che solamente nel caso l’inflazione si normalizzi sarà conveniente un tasso fisso; se l’inflazione rimarrà a zero o addirittura si andrà in deflazione, sarà più conveniente un tasso variabile, considerando il fatto che è proprio nei primi anni di mutuo quando si pagano più interessi, che un tasso fisso. Dunque, nonostante le banche cerchino di manipolare la domanda, facendo leva sulla sicurezza che il fisso suscita nell’immaginario collettivo, il mutuo a tasso variabile rimane conveniente per chi decide di scommettere sul fatto che per i prossimi anni l’inflazione rimarrà ai valori attuali, come sembra gli stessi Istituti di Credito vogliano dirci aumentando lo spread richiesto per il tasso fisso.