La convivenza tra uomini e animali ha origini antiche, proprio per questa ragione le leggi di tutela e le campagne di sensibilizzazione per proteggere gli animali sono in aumento.
Il Codice civile stabilisce che i regolamenti condominiali non possono vietare di possedere o detenere animali domestici. Nonostante ciò è noto a tutti noi che spesso i conflitti generati dai rumori degli animali (ed in particolari dei cani) finiscono per trascinare padrone e dirimpettai in tribunale.
Contro le immissioni rumorose è infatti prevista una tutela sia in sede civile che in sede penale.
In sede civile viene in rilievo l'art. 844 c.c., il quale vieta le immissioni intollerabili da un fondo all'altro e tra le immissioni sono espressamente inclusi i rumori.
Se ne deduce inequivocabilmente che fino a determinati livelli, le immissioni (e per quanto ci interessa, i rumori) si debbono sopportare. Il concetto di normale tollerabilità però non è ben definito ed il codice spiega solo che per valutare tale limite si deve tenere in considerazione anche la condizione dei luoghi.
In sede penale la norma di riferimento è invece l’art. 659 c.p., per il quale si rischia di rispondere del reato di Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone.
L'art. 659 c.p. fa capire che, per avviare un processo penale, debbano esservi innanzitutto degli schiamazzi idonei ad arrecare disturbo a una quantità indefinita di persone; schiamazzi provocati o anche semplicemente non impediti.
La questione fondamentale per far scattare il reato è il fatto che (anche se solo in linea teorica) il latrato possa molestare una moltitudine di persone, in concreto è però sufficiente anche la lesione di uno solo.
Questa necessità nasce dal fatto che il reato è posto a tutela della pubblica quiete. In altre parole lo spartiacque fra illecito civile (per le immissioni rumorose, con conseguente risarcimento del danno) e illecito penale (disturbo del riposo e della quiete, con relativa pena) dipende da “quante” persone sono (o potrebbero essere) molestate.
Tra le sentenza della cassazione ne spicca una che chiarisce come non sia necessario che il responsabile voglia arrecare molestie ad altri, ma è sufficiente la colpa.