L’inchiesta “Filo d’Arianna” condotta dalla finanza indaga gli imprenditori trentini Giorgio e Corrado Rigotti, Paolo Abram e tre commercialisti milanesi che avrebbero messo al riparo gli immobili dopo che l’Agenzia delle entrate presentò a Gestim spa un conto da 22 milioni.
Giovani brasiliane come prestanome, scatole societarie che portano in Delaware, società offshore che spaziano dalla Svizzera all’Isola di Man.
Un vortice di passaggi di proprietà che coinvolge decine di immobili in Trentino (da San Michele a/A a Villa Lagarina) e che conduce oggi al sequestro di 59 beni per un valore di 6.913.000 euro a compensare le pretese erariali mancate.
Gli investigatori del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza si sono mossi in un'inchiesta labirinto che, non a caso, è stata ribatezzata «Filo d’Arianna» in riferimento alla mitologica figlia del re di Creta Minosse. In questo caso tuttavia non ci sono Teseo e il minotauro da uccidere, ma beni immobili (dunque soldi) indebitamente sottratti allo Stato.
L’accusa che vede indagati tre imprenditori trentini e tre commercialisti milanesi è sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Avrebbero nascosto i beni che dovevano coprire un debito erariale da 22 milioni di euro. Ma “nascondere” alle pretese del fisco intere palazzine a San Michele o Villalagarina non è facile. Occorre una complessa - e fraudolenta, sostiene la procura - architettura finanziaria.
Tra gli indagati figurano alcuni nomi noti nell’ambiente immobiliare trentino. Si tratta dei fratelli Giorgio e Corrado Rigotti (il primo è presidente di Confidimpresa) e l’ex socio Paolo Abram. I tre erano stati soci nella Gestim spa dove erano rimaste le attività immobiliari della Rigotti. La società, poi diventata Gestim srl con trasferimento di sede a Milano, nel 2007 e poi nel 2008 era stata oggetto di due diverse verifiche dell’Agenzia delle entrate riferite ai bilanci 2004 e 2005. Gli ispettori contestarono redditi sottratti al fisco e sanzioni per complessivi 22 milioni di euro.
L’accertamento, in gran parte su operazioni non di rilievo penale relative a fusioni societarie, venne contestato dalla società. Ne nacquecosì un complesso contenzioso tributario che si è concluso dopo qualche anno in modo sfavorevole all’azienda. L’importo dovuto al fisco andava dunque pagato, ma nel frattempo la società era passata di mano e con essa anche i beni.
Secondo l’accusa sostenuta dal pm Pasquale Profiti, i tre imprenditori con la collaborazione di altrettanti commercialisti, avrebbero di fatto sottratto i beni lasciando così lo Stato a mani vuote. Tutto ciò, sostiene l’accusa, sarebbe stato portato avanti attraverso due distinte operazioni societarie: la prima che, dopo vari passaggi, conduceva ad alcune società con sede in Delaware (stato Usa che la Finanza definisce «fiscalmente non collaborativo») e intestate a giovani donne brasiliane o uruguaiane, cioè prestanome.
La seconda operazione, secondo l’accusa, avrebbe permesso a Giorgio Rigotti di sottrarre una parte residuale dei beni (specie garage) prima passandoli ad una società di Rovereto e poi interponendo nella catena di controllo una fiduciaria di Parma che agiva con mandato di società off-shore nell’isola di Man. Per società off-shore si intende una società registrata in base alle leggi di uno stato estero, ma che conduce la propria attività al di fuori dello stato o della giurisdizione in cui è registrata.
Naturalmente si tratta di accuse ancora tutte da provare. I tre immobiliaristi, per la Finanza «formalmente privi di proprietà», respingono le accuse. La difesa, sostenuta dagli avvocati Patrizia Corona e Giacomo Merlo, sottolinea che le operazioni contestate, in particolare i gioghi di “scatole cinesi”, non hanno nulla a che vedere con gli imprenditori trentini, ormai usciti dalla compagine sociale.
Gli investigatori invece replicano che si trattò di passaggi di proprietà fittizi; questo sarebbe confermato anche dal ritrovamento durante le perquisizioni di mail e documentazione delle società che loro vorrebbero definire estranee. Documenti che secondo gli investigatori dimostrerebbero come ci fossero ancora legami con il Trentino.
Intanto il giudice Francesco Forlenza su richiesta del pm Profiti ha concesso quello che per valore – hanno spiegato i colonnelli della Finanza Leonardo Matera e Fabrizio Nieddu - è il più importante sequestro di beni immobili mai operato in Trentino.
Il «tesoro» è costituito da 59 unità: 16 abitazioni, 40 garage, 2 cantine e un terreno agricolo per un valore di
6.913.000 euro. Le palazzine ad oggi comprendono appartamenti vuoti, altri affittati e in piccola parte venduti.